mercoledì 19 novembre 2008

E ADESSO QUALE ECONOMIA ?

L’economia ritorna al futuro.

Si potrebbe sintetizzare con questa frase il probabile scenario che interesserà il mondo economico nei prossimi anni, tenuto conto della recente crisi finanziaria. Certo è sicuramente presto per trarre conclusioni alla luce dell’attuale contesto economico internazionale: la crisi della finanza non è ancora terminata, tutte le principali Borse europee, asiatiche e americane proseguono la loro frenetica corsa al ribasso, i segni di recessione economica sono già evidenti nei cali dei consumi dei cittadini europei ed americani, alcune imprese industriali, le più indebitate e le meno competitive, sono già sull’orlo di una bancarotta, e la crisi economica raggiungerà probabilmente il suo apice nei primi mesi del 2009.
Paradossalmente però, è proprio nei momenti di crisi che è possibile ottimizzare il business plan di un’economia nel medio-lungo termine, attraverso gli investimenti e concentrando risorse (quelle disponibili) verso gli assets immateriali della propria attività: marchio, ricerca e sviluppo, marketing, riposizionamento sul mercato, implementazione di nuova tecnologia. Con l’obiettivo di essere i primi a ripartire al termine della tempesta.
Per fare ciò, o meglio, per aiutare le imprese italiane a rendere possibile un secondo “vero” miracolo, occorrerebbe definire quanto prima a livello nazionale:
  • un nuovo assetto contrattuale che leghi il salario alla produttività, e che introduca nel mondo del lavoro quegli strumenti di flessibilità che tanto invidiamo agli Stati Uniti;
  • un deciso intervento sul piano delle infrastrutture, completando e se possibile implementando quei collegamenti stradali e ferroviari, soprattutto nel Nord Italia – vero locomotore del sistema Paese – ad oggi ancora nella fase progettuale;
  • la liberalizzazione dei servizi, soprattutto in quei settori dove vige scarsa competitività e dove i prezzi sfuggono alla legge della domanda-offerta e assomigliano sempre più ad una sorta di dazio interno;
  • la semplificazione degli adempimenti burocratico-amministrativi: aprire oggi un’impresa in Italia richiede molto più tempo che in qualsiasi altro Paese industrializzato;
  • un ulteriore alleggerimento del carico fiscale pendente su imprese e lavoratori, per facilitare la ripresa della domanda interna, senza la quale un Paese non cresce.
Occorre poi riscrivere le regole del mercato, non solo quello finanziario come si legge o si sente dire da più parti negli ultimi tempi, ma anche quello industriale. Abbiamo cavalcato la globalizzazione, con i suoi effetti positivi ma anche con quelli negativi (es. la crisi dei subprime prima e dei derivati poi, la delocalizzazione della produzione industriale, la problematica ambientale), senza aver definito regole e obblighi comuni.
Non si tratta di imporre nuovi dazi o barriere doganali, come sciaguratamente suggerito dal nostro Ministro dell’Economia Giulio Tremonti in alcuni suoi recenti interventi pubblici: ricordo che è stato proprio il protezionismo americano la principale causa della prolungata crisi recessiva del 1929. Sappiamo che ormai dobbiamo confrontarci con un mercato più ampio rispetto al passato, con nuove economie competitive (il cosidetto “BRIC”: Brasile, Russia, India e Cina, ma non solo), ma occorrono nuove regole che non possono e non devono essere scritte a livello di singoli Stati, ma richiedono un coinvolgimento internazionale. Occorre istituire un nuovo organismo, sull’esempio del prossimo G20 in programma per il mese di novembre a Washington, incaricato di riscrivere le regole in gioco, di applicarle alle singole economie, di verificarne l’efficacia nel tempo e di monitorarne l’attuazione anche con interventi di carattere sanzionatorio.

E’ quindi probabile, se non addirittura auspicabile, il ritorno a fare industria. Nel senso che l’attività manifatturiera deve tornare a rioccupare una posizione di assoluta centralità nell’economia mondiale, a discapito, si badi bene, non della leva finanziaria nel suo complesso – fonte indispensabile al sostegno del ciclo produttivo – ma della finanza cosidetta “creativa”. L’industria che si riprende la leadership non è e non può più essere quella del ventesimo secolo. Il settore ha vissuto processi di trasformazione strutturali, basti vedere l’evoluzione del mercato internazionale degli ultimi trent’anni, il primato del valore aggiunto quale fonte di massimizzazione del profitto, il ridimensionamento delle nostre imprese, sempre più di medie-piccole dimensioni a discapito delle grandi imprese di inizio novecento.

Solo così, a mio modesto parere, sarà possibile rilanciare un Sistema Paese da troppo tempo immobile, incapace di reagire al suo declino, stretto sul suo passato di grande paese industrializzato.
Solo così sarà possibile rilanciare politiche di sostegno per le classi più disagiate, ridare fiducia ad un ceto medio impaurito, e offrire speranza e fiducia ai giovani che entrano nel mondo del lavoro.

RISCALDAMENTO GLOBALE

L’atmosfera che avvolge la crosta terrestre è composta da gas serra (vapor acqueo, biossido di carbonio, metano e altri) che hanno la particolarità di riuscire a mitigare l’escursione termica tra il giorno e la notte e tra le varie stagioni. Sono gas di una finezza particolare che lasciano filtrare i raggi solari (di lunghezza d’onda molto breve) ma trattengono e respingono la radiazione infrarossa (di lunghezza d’onda maggiore) emessa dalla terra per effetto del suo calore. La conseguenza è il famoso effetto serra, che consiste in un incremento della temperatura legato alla difficoltà di evacuazione delle radiazioni dall’atmosfera. Grazie ad essi la temperatura media sulla terra è di 15°C. In loro assenza sarebbe oltre 30°C piú bassa.
La crescita della popolazione, l’inquinamento atmosferico e la deforestazione sono le ragioni fondamentali di cambiamenti climatici che stanno mettendo sempre pi
ú a dura prova la sopravvivenza delle specie sul pianeta, compreso l’uomo.
Negli ultimi 40 anni sono state osservate modificazioni importanti nella composizione dei gas serra dovute all’incremento di inquinamento atmosferico e ad una riduzione di organicazione da fotosintesi per via della deforestazione. In particolare il biossido di carbonio è cresciuta del 30% e la concentrazione di metano è raddoppiata. Ne consegue che l’effetto serra prodotto dall’atmosfera è amplificato e la temperatura sale generando un riscaldamento globale.
Sebbene nell’ultimo secolo la temperatura media sia aumentata solo di 0.76°C (IPCC) questo ha portato ad una maggiore evaporazione delle masse oceaniche, innalzando il contenuto di vapor acqueo nell’atmosfera ed eventualmente amplificando ulteriormente l’effetto serra. Sulla base delle tendenze attuali si prevede che questo secolo possa portare ad un aumento di temperatura molto consistente, con le pi
ú pessimistiche stime che parlano di un incremento di oltre 6°C.
Le conseguenze di tutto questo sono palesi già oggi: l’incremento di vapor acqueo nell’atmosfera porta ad una tropicalizzazione del clima e a tempeste tropicali (come l’uragano Katrina, 2005, 1836 vittime), all’inaridimento delle terre emerse con pesanti ripercussioni sull’agricoltura, all’estensione dell’habitat di insetti portatori di malattie come la malaria.
Il quadro potrebbe pesantemente peggiorare nei prossimi anni portando al completo scioglimento dei ghiacci polari con conseguente innalzamento delle acque (città come New York o Calcutta verrebbero completamente sommerse, mobilitando di conseguenza una fetta importante della popolazione mondiale). Lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia combinato con la desalinizzazione legata alla maggior quantità di acqua oceanica potrebbe modificare le correnti oceaniche, potenziando la corrente oceanica polare e deviando quindi la corrente del Golfo del Messico, portando paradossalmente l’Europa ad un’era glaciale.

In questo scenario i paesi industrializzati si propongono di intervenire secondo il programma dettato dal Protocollo di Kyoto, senz’altro buono nelle intenzioni ma deficitario nelle partecipazioni e, probabilmente, anche negli obiettivi.

E’ fondamentale che tutti gli individui, pur nella possibilità di prendere decisioni solo a livello locale, inizino da subito a ragionare in maniera globale.