mercoledì 16 settembre 2009

Rilancio economico italiano....con benzina annacquata.

Prima il rilievo di un incremento degli ordinativi. Ora l’OCSE indica che a Luglio la produzione industriale ha segnato un confortante +1% su base mensile. Per il terzo trimestre potremo quindi attenderci - noi non pessimisti - l’uscita dalla recessione.

Ma se è vero che questa crisi sta passando, noi abbiamo iniziato a chiederci cosa abbiamo imparato e soprattutto quali azioni correttive sia opportuno imprimere alla nostra economia?

In Italia, come in tutti i paesi industrializzati, abbiamo vissuto questi mesi caratterizzati da aiuti di stato (i soliti ecoincentivi a dare ossigeno all’automotive) e limpide pressioni verso torbidi scenari economici (il nucleare).

Ma è abbastanza per sentirci più tranquilli?

A livello strutturale, a mio avviso, nulla è stato fatto. La benzina usata per far correre il motore della nostra economia è annacquata e il rischio è che il motore si spenga di nuovo. Siamo sempre il solito paese troppo sbilanciato fiscalmente a penalizzare il reddito lavorativo e a incentivare quello patrimoniale. O almeno, rispetto alla media dei paesi industriali, i redditi dei lavoratori italiani sono troppo tassati, a vantaggio delle proprietà multimilionarie. Ne è conferma il fatto che da tempo i russi dal portafogli a forma di 24ore vengono a trovarci per acquistare immobili, non certo per fare impresa.

Un economista liberale, quale mi auguro sia Tremonti, non dovrebbe lasciarsi sfuggire l’occasione di ridistribuire i pesi sulla bilancia: ridurre dopotutto la pressione fiscale sui redditi da lavoro servirebbe a rilanciare il potere d’acquisto e quindi i consumi delle famiglie italiane (e varrebbe senz’altro più che i simpatici messaggi promozionali tanto cari al nostro Presidente del Consiglio).

Certo, le finanze statali dovrebbero pescare altrove. Ma quale pesca potrebbe essere più produttiva di una contemporanea stretta fiscale sui grandi patrimoni? La voglia di fare impresa non tarderebbe a venire ai nostri ricchi feudatari contemporanei.

In questo contesto massima importanza è rivestita dalla strategia per il rientro dei capitali dai paradisi fiscali: in Italia è in vigore dal 15 Settembre uno scudo invitante (almeno rispetto a quello deciso dai tedeschi, essendo da noi l’aliquota fissata al 5% e l’anonimato garantito). Ma, semmai questo condono serva a qualcosa, è chiaro che il quadro strategico sarebbe completo solo con una rinnovata lotta ai paradisi fiscali, intrapresa mesi fa dal trio franco-tedesco-americano e ora piuttosto assopita. Lotta da riprendersi al più presto con azioni comuni che ne massimizzino l’efficacia.

Insomma, non si tratterebbe di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Piuttosto si potrebbe interpretare questo banale pensiero come un riallineamento fiscale sulle orme di altri paesi industrializzati e sotto la protezione di un più severo controllo in materia di evasione fiscale che consentirebbe un aumento dei consumi e dell’occupazione, rilanciando la competitività economica del paese.

In uno scenario che troppo spesso ha visto larghe concessioni ai ricchi pigri (si pensi al travaglio per evitare la tassa di successione), ci vorrebbe un intervento liberale che sappia spostare i patrimoni da chi dorme a chi lavora.

Auguriamoci dunque che Tremonti non ascolti troppo chi dorme e mandi tutti a lavorare!